
Ieri era l’ 8 marzo. Festa della Donna.
Una festa che, già da qualche anno (dai ruspanti anni ’80) non è più quello per cui era nata. Si sta provando negli ultimi anni tra femminicidi, vessazioni lavorative varie, violenze di ogni genere verso il mondo femminile, a riportare l’attenzione dall’aprire le gabbie la sera dell’ 8 marzo con tanto di omini mezzi nudi e oliati come carta per la focaccia ad una più consapevole conoscenza dei problemi del mondo femminile.
Vi voglio parlare della Legge 194/1978. A maggio si celebrerà il quarantesimo anniversario dell’entrata in vigore della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza (ivg), che nel 1978 legalizzò l’aborto in Italia. Una legge importantissima che, al giorno d’oggi viene attaccata su più fronti.

Come si può leggere dal grafico qui sopra, negli ultimi anni, il ricorso alla 194 è diminuito drasticamente. In generale il calo degli aborti in Italia è dovuto a diversi fattori, in particolare ai livelli più alti d’istruzione e ad una maggiore diffusione dell’educazione sessuale e della contraccezione (l’Italia comunque rimane indietro nell’uso dei contraccettivi rispetto ad altri Paesi europei). Un motivo molto importante è stato, dal 2015, l’introduzione della cosiddetta pillola del giorno dopo e quella dei 5 giorni dopo che viene venduta senza ricetta medica in farmacia. Potendo usare questo metodo, si tende ad usufruire di meno della legge sull’aborto.
Rimane, un problema gravissimo anche il crescente ricorso al l’obiezione di coscienza da parte di ginecologi, anestesisti e personale non medico, sopratutto nel Meridione.

Si viene a creare così un cortocircuito tra il diritto ad usufruire di una legge in vigore e il diritto di fare obiezione verso questa legge (sancito dalla legge stessa), che di fatto impedisce ad una larga fetta di donne italiane di poter usufruire del l’interruzione di gravidanza nella propria regione. Il collettivo Non una di meno, rivendica l’abolizione dell’obiezione di coscienza per i medici, il personale non medico e i farmacisti che lavorano nelle strutture pubbliche. Le femministe chiedono anche sostegno all’interruzione di gravidanza farmacologica nei consultori e più finanziamenti per queste strutture che promuovono la salute riproduttiva delle donne, la contraccezione e l’educazione sessuale.
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