È notizia di questi giorni, che alcuni tra i più importanti personaggi della cultura, esponenti del mondo universitario e accademici della Crusca, abbiano scritto una lettera aperta alle istituzioni.
Cosa ci sarebbe scritto su questa lettera/denuncia? Che i ragazzi italiani, quelli che si apprestano a diventare Dottori, laureandosi, non sanno l’italiano.
…
Ecco. Già mi sembra altresì strano che stiano per laurearsi non sapendo parlare un italiano corretto e facendo errori che nemmeno in terza elementare riescano ad arrivare alla tesi e al pezzo di carta. Poi, contando che i ragazzi italiani di oggi, i 20enni, sono i famosi, e tanto decantati, nativi digitali, posso anche capire da sola che avendo sempre in mano lo smartphone e avendo imparato a scrivere velocemente tendano a, come dire, tagliare la parola più del dovuto. Ok. Ma questo è accettabile, appunto, sullo smartphone e non, sicuramente, su un foglio che ti sta portando nel mondo fatato della Laurea. No, non mi sembra appropriato far laureare gente che scrive la sua tesi come se stesse scrivendo su WhatsApp alla sua cumpa con tanto di k/xkè/lol/ki/raga/amo ecc ecc.
Ma non è solo questo, il parlare davanti a persone estranee come se fossimo di fronte al nostro brò. Bisogna distinguere. Parlare, o almeno riuscire a parlare, facendosi capire da tutti i nostri interlocutori. E per fare questo, mi spiace, ma bisogna saper parlare l’italiano. Averlo imparato. Averlo studiato. Saper coniugare i verbi in modo esatto per esempio. Usare i complementi con un minimo di cognizione. Magari avere in testa due o tre parole che si possano intercambiare fra loro per non ripetere sempre la stessa.
“Carino” è la parola chiave che i giovani d’oggi usano per dire che una cosa o una persona è: importante, bella, famosa, può piacere, mi va bene e chissà quante altre. Che tristezza.
A volte, anche io, che faccio parte della generazione prima dei Millenials, a cui l’italiano è stato insegnato alle elementari con tutti i crismi (verbi, complementi, analisi logica, riassunti, dettati ecc), mi rendo conto di aver perso parecchie nozioni, vuoi perché non vengono più usate, vuoi perché soppiantate da altre più moderne. Mi rendo conto che è sbagliato e così facendo l’italiano andrà a scemare e a fondersi con, per esempio, l’inglese. Per questo esiste l’Accademia della Crusca, per salvaguardare la lingua più bella, dolce e poetica del mondo: la lingua di Dante.
Ora, mi verrebbe da dire: evviva l’italiano! (ops! L’ho detto)
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